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Mafie & Social Media: intervista a Enzo Ciconte con VIDEO

Il Prof. Enzo Ciconte è docente di storia alla criminalità organizzata all’Università di Roma Tre, di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia. Dal 1997 al 2010 è stato consulente presso la Commissione Parlamentare Antimafia e il suo libro ” ‘Ndrangheta dall’unità ad oggi” del 1992, è il primo studio a carattere storico sulla ndrangheta. In generale tutti i suoi libri disegnano un quadro lucido e puntuale delle mafie italiane.
Prendiamo spunto per questa conversazione proprio dal suo ultimo lavoro “Dall’omertà ai social: come cambia la comunicazione delle mafie”, Edizioni Santa Caterina, in cui sono analizzati numerosi aspetti del fenomeno mafioso nel nostro paese.

Partiamo dal titolo del primo capitolo del libro che dice “per capire le mafie bisogna ascoltarne i silenzi”. Cosa intende?

“Intendo una cosa molto semplice, noi dobbiamo immaginare l’organizzazione mafiosa come un’organizzazione, intanto, segreta.
Segreta per tanti, ma segreta soprattutto per le forze dell’ordine, per i magistrati, non per i cittadini che devono conoscerla.
Il silenzio nell’organizzazione mafiosa è importante per almeno due ragioni.
La prima: l’ affiliato, chi diventa mafioso che diventa ‘ndranghetista, camorrista, deve mantenere il silenzio sulle attività della propria organizzazione. Quindi non devi parlarne con nessuno. Questa è la prima questione.
La seconda questione: c’è un silenzio che avvolge l’organizzazione mafiosa, che è il silenzio delle vittime, che non parlano e non denunciano e il silenzio di chi viene corrotto dalle organizzazioni mafiose, è il silenzio mantenuto per secoli sulle donne, che erano considerate totalmente estranee all’organizzazione mafiosa e non era vero.
E’ il silenzio della chiesa sulle organizzazioni mafiose, quindi è un silenzio che coinvolge molte.
Se tu non studi queste cose, non capisci le organizzazione mafiose, se tu non studi il rapporto tra le mafie e il silenzio della chiesa, non capisci perché nel corso dei secoli, soprattutto quando la chiesa contava, contava parecchio nella società,non hanno detto nulla nei confronti delle mafie.
Ecco perché dico se vuoi capire le mafie devi capire il silenzio”

Antichissimo e ultramoderno, come è cambiata negli anni la comunicazione della ndrangheta?

“La comunicazione dell’ndrangheta, ma non soltanto della ndrangheta, questo riguarda anche la mafia siciliana e la camorra napoletana, è cambiata perché è cambiata la società.
Noi non dobbiamo commettere l’errore di pensare che i mafiosi vivono nell’iperuranio, che non sono toccati dai cambiamenti della società, e che vivono in un mondo completamente avulso da quello che succede in mezzo a noi. Non è così.
Al tempo dei telefonini, di Facebook, di Instagram, di TikTok, non è che i mafiosi potevano fare a meno di questi di questi strumenti. E’ evidente che dovevano essere presenti li anche loro.

Quindi è cambiato il linguaggio, ma è cambiata per certi aspetti, una parte della natura della ndrangheta.
Una volta la ndrangheta era silenzio. “A megliu parola, e chilla chi non si dice”, la migliore parola è quella che non si dice.

Invece adesso esattamente l’opposto. Adesso i mafiosi sono su Facebook, postano le loro foto, dicono le cose che vogliono dire, fanno dei filmini, mostrano armi, mostrano la capacità di ricchezza che hanno, cioè comunicano come facciamo noi. In questo momento i giovani che ci stanno leggendo non potrebbero immaginare la loro vita senza un telefonino, perché dovrebbero farlo i mafiosi che fanno parte di questa società, che stanno in mezzo a noi? Non è che i giovani mafiosi sono diversi dai giovani normali, sono diversi senso che sono mafiosi, però i loro costumi sono identici a quelli dei loro coetanei, sono identici i gusti.”

Questi giovani mafiosi che usano i social network e tutti gli strumenti che internet oggi mette a disposizione sono consapevoli del pericolo al quale si espongono lasciando le loro tracce sul web? Oppure non ne sono consapevoli e utilizzano questi strumenti anche andando incontro a delle possibili segnalazioni delle autorità?

“Sono consapevoli ed allo stesso tempo inconsapevoli. Nel senso che loro sanno benissimo che comunque sia le autorità li tracciano. Io credo che nessuno di loro si immagini di rimanere, come dire, libero da indagini.
Sono consapevoli ma vogliono ottenere ugualmente il consenso.
Loro vogliono convincere gli altri giovani, a scegliere quella strada lì.
Oggi hanno capito che più delle riunioni formali, più dell’ atteggiamento spavaldo in piazza, conta molto anche mostrarsi a questi ragazzi che hanno voglia di cambiare vita, perché è nei giovani la voglia di cambiare vita.
E vogliono mostrare a questi giovani che loro sono arrivati ad un punto di ricchezza e di potere proprio in ragione della loro appartenenza.
Quindi il messaggio che mandano questi video, questi filmati, queste fotografie è esattamente questo: cercare di portare questi giovani dalla loro parte.
Loro cercano il consenso, ed è un modo per dire agli altri quello che fanno quando sono bravi, che i loro genitori, i loro fratelli che sono in galera, sono completamente innocenti.

D’altra parte, lei ha mai visto un mafioso colpevole?
I mafiosi non è che sono tutti quanti intelligenti, sono anche cretini e per fortuna che ci sono i cretini, così almeno li beccano.

Alcuni latitanti, per esempio, si sono fatti una fotografia, l’hanno postata sul loro profilo, sul profilo di qualche amico, mostrando il grande albergo a 5 Stelle dietro le loro spalle, non sapendo che in questo modo sarebbero stati presi, infatti li hanno catturati, perché guardando gli alberghi, i Carabinieri poi capiscono quali sono gli alberghi dove loro stanno.
Quindi per fortuna ci sono anche i cretini che dicono a farsi beccare, diversamente potrebbero voluto farsi la latitanza.
Cos’è questo? È un mostrarsi.
Oggi, purtroppo, viviamo nella società delle immagini, se tu non sei in televisione, non sei su Facebook, non sei nessuno, pensi di non valere nulla e ovviamente tutto questo non è vero.
Però per loro, per la mentalità che c’è oggi in Italia, appare vero. “
Tra l’altro proprio un’altra suggestione che emerge anche dalle pagine del suo libro, è quella di parlare di musica. Possiamo citare il caso emblematico di quel videoclip Glock21 girato a Rosarno, in cui questi giovani calabresi si mostrano con i fucili, dicono cose terribili. E se sotto un video dove ci sono dei ragazzi con dei kalashnikov, che gridano “viva la mafia” ci sono dei commenti con scritto “grazie perché in questo modo porti la nostra cultura anche online” quello è il vero problema.


Qual è il pericolo che rappresenta per i giovani questa libertà, questo poco controllo che c’è in strumenti come Youtube, Facebook?
Se tutti possono postare quello che vogliono e non c’è un controllo dei contenuti, non si rischia di creare un fenomeno di proselitismo online incontrollabile?

Sì, anche se finché non commetti reato non puoi evitare che questo avvenga, perché diversamente ci sarebbe una censura inammissibile.
Noi dobbiamo combattere con le armi della democrazia, credo che si possa fare perché questi imbecilli per fortuna non sono la maggioranza, sono la minoranza.
Quindi anche questa volta invece abbiamo la possibilità di vederli, di sapere e quindi spiegare ai ragazzi che quello è un atteggiamento sbagliato, un atteggiamento scorretto che va modificato.
In Calabria c’è stato un periodo, ma c’è ancora, di produzione di musicassette.
C’erano stati dei cd, delle cassette, che elogiavano la ‘ndrangheta, la vecchia ndrangheta. La ndrangheta mostrata come una sorta di Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Sangue e onore, ed il fatto che è una macchia d’onore va lavata con il sangue. Tutta una serie di patacche della vecchia ‘ndrangheta che non sono mai esistite se non in minima parte.
Però è la mitologia della vecchia ‘ndrangheta che viene portata avanti.
Naturalmente se queste parole vengono accompagnate da una musica delle tarantelle, è chiaro che accattivante.

Il dramma è che questa cosa qui non ha funzionato solo in provincia di Reggio Calabria, ma addirittura in Germania.
In Germania, per alcune settimane queste tarantelle della ‘ndrangheta hanno occupato le prime classifiche della hit parade della tedesca, quindi, siamo in presenza di questi fenomeni. Per cui tutti quanti vanno a comprare le musicassette della ndrangheta che, ripeto, è una ndrangheta vecchia, il bandito Musolino, che era stato condannato ingiustamente, cioè tutta una serie di queste canzoni che tra l’altro legano l’Aspromonte alla ndrangheta, insomma, vecchia paccottiglia, che però ha un elemento, come dire, di realtà in queste musicassette.

Vista la sua esperienza in Commissione Parlamentare, si parla a livello più alto, in una conversazione che abbia possibilità di cambiare le cose, di quanto la mafia sia riuscita ad attualizzarsi? Esistono delle indagini, delle inchieste giornalistiche, delle riflessioni politiche nate proprio da questa sua riflessione?

Penso di no, oggi soprattutto, perché alla gente non importa nulla del fenomeno mafioso.
Guardi proprio stamattina, leggevo la riflessione del questore di Napoli, che diceva che della camorra non gliene frega più niente a nessuno.
Il questore Giuliano, il figlio di Boris Giuliano, che è stato ucciso dalla mafia Siciliana, dice della camorra a Napoli non frega più niente a nessuno e ha regione. Ma in questo momento, parliamoci chiaro è difficile che la gente si preoccupi dei fenomeni mafiosi ed è comprensibile che sia così, perché ognuno di noi è preoccupato per la pandemia in corso.
E’ successa la stessa cosa negli anni 70, quando c’era il terrorismo.
È stata una stagione terribile, la gente non usciva di casa, aveva paura, rimaneva rinchiusa.
Tant’è vero che il terrorismo fu combattuto su due livelli, il livello giudiziario, ovviamente, quello della repressione.
Poi ci fu un livello rivoluzionario. Il fatto che un assessore del Comune di Roma, l’assessore Renato Nicolini, proiettò una serie di film alla basilica di Massenzio e arrivò un sacco di gente.
Il messaggio era: “i terroristi ci vogliono tutti in casa, noi dobbiamo uscire per riconquistare la nostra libertà, la nostra autodeterminazione”.
Ma allora nessuno pensava alla mafia. Infatti la mafia negli anni 70, negli anni 80 arrivo ai massimi livelli. Se pensiamo che il 6 gennaio del 1980 la mafia uccise il Presidente della Giunta Regionale della Sicilia, Piersanti Mattarella, capiamo che siamo ad un livello altissimo di presenza della mafia. Due anni prima era stato rapito, sequestrato e poi ucciso il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, quindi, di fronte a questi fenomeni, a questi elementi, la mafia ebbe via libera.
Oggi siamo, grosso modo, nella stessa situazione. Questa non significa che i mafiosi se ne stanno fermi, no, i mafiosi stanno facendo la loro parte, ma credo che anche la magistratura abbia capito alcune cose e immagino che stia facendo delle attività.

Per il resto, nella politica non vedo grandi capacità.

Facciamo un’ultima riflessione sulla necessità di un cambiamento nella comunicazione anti mafiosa. Perché se è vero che la mafia si evolve, forse anche l’ antimafia deve trovare dei nuovi linguaggi, dei nuovi strumenti per contrastarla.
Come è possibile che a giurisprudenza, a Palermo, la stessa facoltà in cui si sono laureati il dottore Falcone ed il dottore Borsellino, legislazione antimafia sia una materia a scelta?
Perché non esiste la consapevolezza che studiare la storia e gli strumenti di cui ci siamo dotati non è considerato fondamentale per il nostro Ministero dell’istruzione, per chi decide i programmi ministeriali dell’Università?

“E’ la stessa domanda che mi sono posto io tanti tanti anni fa. E l’ho posta ad un Ministro della pubblica istruzione chiedendo come mai non istituissero delle cattedre di storia delle mafie. Mi ha risposto che così le valorizzeremo, gli daremmo credito.
Ma in realtà le mafie sono già nelle università. Intanto perché ci sono alcuni professori che si vendono i voti, si vendono gli esami ai mafiosi, sono addirittura loro stessi mafiosi.
Comunque non l’hanno fatto, io nel mio piccolo, esattamente 15 anni fa, proposi all’Università di Roma Tre di fare un corso di storia delle mafie italiane. Mi fu risposto che era troppo duro come titolo e ci accordammo per “storia della criminalità organizzata”.

Feci venire oltre al Rettore, ai diversi responsabili di alcuni dipartimenti, il Presidente della Commissione Antimafia, i capi gruppo d’opposizione della Commissione Antimafia, l’allora Procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Grasso, che per tutto il pomeriggio parlò con gli studenti.
Inoltre ho fatto un corso da 10 anni a questa parte a Pavia, “storia delle mafie italiane” ed è il collegio universitario Santa Caterina da Siena di Pavia . E’ un corso opzionale, lo offre agli studenti di Scienze politiche, giurisprudenza, lettere ed economia.
Il corso è frequentato in maggioranza da studenti di magistratura perché sanno di legge, perché sanno che questo è un esame per loro importante, se vogliono capire le mafie. Per capire l’evoluzione storica, perché se tu vai ad affrontare il problema delle mafie, oramai non è più un problema del sud, è un problema anche del nord purtroppo, e un futuro magistrato queste cose le deve capire.
L’altra cosa che deve cambiare è il giornalismo. Perché il giornalismo si è seduto sulla vicenda antimafia. Il giornalismo cosa fa? La notizia è sempre la stessa perché prendono la velina della procura e non approfondiscono. Non sono loro ad indicare, a fare delle indagini antimafia serie, che non riguardano solo quello che dice la Procura della Repubblica, che può anche sbagliare. Ma il giornalista non deve fare la velina.
Deve avere una capacità di dare al lettore uno sguardo diverso da quello che da il procuratore. Anche perché ci sono alcuni comportamenti che non sono penalmente rilevanti. Se un giovane, un giornalista lo dice, beh, è meglio.
Torniamo al discorso delle musicassette, torniamo il discorso delle canzoni.
Un magistrato non può farci nulla. Ma un giornalista può segnalarle ai lettori che in quel quartiere di Napoli, in quel quartiere di Roma, in quel cantiere di Reggio Calabria o di Palermo, ci sono queste canzoni, ci sono questi video, ci sono queste iniziative.
Potrebbero offrire ai cittadini la conoscenza di un fenomeno che sta maturando, che sta cambiando.
Ma se non lo dice il giornalista, se non si sporca le mani con queste inchieste, queste indagini, fa semplicemente lo scribacchino, che ricopia e fa il copia e incolla di quello che è l’ordinanza di custodia cautelare e questo secondo me non va bene.

Allora io mi auguro davvero che il suo esempio, quello del collegio di Pavia, possa essere replicato anche a Palermo affinché i giovani giuristi possano avere gli strumenti per conoscere e contrastare le mafie.

“Anch’io me lo auguro. C’è un altro librino che abbiamo fatto con il Collegio di Santa Caterina, che riguarda proprio Giovanni Falcone. Leggendo quel libro vengono fuori alcune vicende curiose, particolari, intriganti, che ti fanno vedere l’uomo Falcone, non semplicemente il magistrato.
Faccio solo due esempi: La prima storia ce l’ha raccontata il Giudice Guarnotta che ha fatto parte, come Falcone, del pool antimafia. Bene ci racconta di come Falcone, andando a cena con altri colleghi magistrati, si metteva ad aggredire i propri colleghi con palline di pane. Allora lei si immagini che cosa succedeva quando il dottore Falcone lanciava la pallina e il suo collega magistrato replicava con altrettanta forza con altre palline. Era un modo per scaricare la tensione.
Oppure un’altra storia, questa volta ce la racconta il Generale dei Carabinieri Angelo Pellegrini. E’ la storia di una sera, quando erano a Roma, entrambi scortati. Avevano ovviamente scorte diverse, ma dormivano nello stesso albergo un po’ fuori Roma.
E la sera finito di lavorare, rientravano in albergo, le scorte una volta portati i due fin dentro dentro la camera, andavano a dormire. Falcone quella sera chiama Angelo Pellegrini, e dice: “Generà, ci vediamo nella hall”. Il Generale scende nella Hall e si fanno una passeggiata per le vie di Roma, come due normali cittadini. A Roma poteva farlo perché ovviamente non lo conoscevano tutti, a Palermo una cosa del genere sarebbe stato impensabile, ma ti da la dimensione umana, ti da la dimensione di un uomo che non ha voglia di essere circondato sempre da questi della scorta che lo portano dappertutto, vuole girare come un semplice cittadino insieme ad un amico, per le vie di Roma.”

MAFIE & SOCIAL MEDIA: Video intervista completa al Prof. Enzo Ciconte

Il prossimo appuntamento della nostra rubrica Mafie & Social Media vedrà protagonista il prof. Davide Bennato, docente all’Università di Catania (DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche) dove insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Sociologia dei media digitali e dall’Anno Accademico 2020-21 Sociologia digitale.

Nelle prossime settimane pubblicheremo tutti i contenuti prodotti sul nostro blog e sui canali social: Facebook ed Instagram.
Le video interviste complete saranno consultabili sul canale Youtube di Giosef italy.