luigi romano antigone campania

(IN)formation break con Luigi Romano, presidente dell’ Associazione Antigone Campania.

Una chiacchierata tra il nostro presidente Alessandro Nicotera e Luigi Romano su carceri, garanzie del sistema penale, trasparenza della pubblica amministrazione, problematiche e buone prassi durante l’emergenza codiv19.

  • “Luigi chi sei e che cos’è Antigone Campania?”

“Io sono un avvocato e mi occupo all’Università di storia del diritto romano. Sono presidente di Antigone Campania, che è una ramificazione di un’associazione nazionale che si occupa di monitorare lo stato delle garanzie nel sistema penale, il focus principale è non solo sui temi di ordine e sicurezza ma anche sulla costrizione in senso fisico. Facciamo uno sportello legale al carcere di Pozzuoli ma principalmente il focus interno è organizzato attraverso l’osservatorio, che opera su autorizzazione del Ministero di giustizia dal 92, e ci dà la possibilità di visitare e capire internamente come funziona un carcere. E’ fondamentale il punto di entrare proprio fisicamente in queste strutture, perché solitamente l’avvocato ha la possibilità di interloquire con il detenuto ma non ha la possibilità di vedere come è organizzato un carcere, cosa che dovrebbe essere garantita dal principio di trasparenza della pubblica amministrazione. Cercare di capire come il potere si organizza tra quelle mura è  sicuramente un tema enorme”

  • In che modo i problemi relativi al sovraffollamento delle carceri stanno incidendo sulla emergenza sanitaria del Covid 19? Cosa si rischia nel caso la situazione non venga tenuta sotto controllo? Quali sono state le motivazioni alla base delle rivolte dei carcerati delle scorse settimane?

“Diciamo che la condizione di partenza, che impone una sorta di irrigidimento proprio dei rapporti di forza all’interno del carcere, è dovuta soprattutto alla sovrappopolazione carceraria. Ciò determina un tasso di criticità enorme perché sostanzialmente i numeri detenuti adesso, nonostante le uscite, sono circa oltre le 20.000 a 25.000 unità in più rispetto alle piante organiche del sistema. In fase diciamo di diffusione epidemica la possibilità di avere in uno spazio ristretto persone che condividono la stessa cella, la stessa camera di pernottamento, implica un fattore di emergenzialità maggiore perché chiaramente è un veicolo di trasmissione del virus in maniera esponenziale. Potrebbe diventare per questo motivo delle rivolte che sono nate e si sono sviluppate soprattutto in Campania. Le rivolte nascono da sentimenti di timore, di paura, di panico. Soprattutto quella di Salerno e poi di Poggioreale si sono sviluppate quando i detenuti hanno saputo, dal personale e dai telegiornali, quali potevano essere le misure che avrebbero ristretto la propria affettività e mi riferisco principalmente alle circolari che imponevano il blocco dei colloqui visivi con i familiari. Faccio questa piccola parentesi  perché in realtà il mondo dell’affettività in carcere ha moltissima difficoltà ad essere mantenuto e conservato perché si crea una distanza enorme tra lo spazio fisico del dentro e del fuori. La situazione adesso all’interno delle carceri non è molto serena, visto che siamo arrivati più o meno 160 detenuti contagiati in tutto. Il focolaio più grande è nel carcere di Torino, in Campania ci difendiamo piuttosto bene, a parte Santa Maria Capua Vetere ad oggi non sembrano esserci focolai accesi. 

Siamo comunque dell’idea che deve essere assolutamente monitorato non solo lo sviluppo epidemico all’interno delle strutture delle carceri, che possono diventare potenzialmente come le RSA, perché sono luoghi chiusi dove c’è un’enorme promiscuità e dove ci sono delle carenze sanitarie, ma soprattutto perché sostanzialmente stiamo monitorando anche l’impatto del virus sulla ricostruzione della vita carceraria nella fase 2

Chiaramente quale sarà l’impatto di questa riorganizzazione è abbastanza difficile da immaginare. So che per certo il coronavirus ha rotto dei tabù, perché prima del coronavirus era impensabile per l’arretratezza le istituzioni carcerarie immaginare che i detenuti potessero utilizzare uno smartphone per chiamare i propri cari, è un tabù addirittura riuscire a fare delle lezioni on line fra i tutor dell’Università e detenuti iscritti al Polo Universitario della Federico II che si trova nel carcere di Secondigliano.

-Quali sono le iniziative del governo in tal senso? Come stanno gestendo la cosa gli altri stati? Cosa stanno facendo gli organismi sovranazionali relativamente alla situazione Italiana?

“La risposta del Governo è stata completamente inefficace, i decreti del cura Italia e gli articoli 123 e 124 sono stati sostanzialmente una copia di vecchi istituti già presenti all’interno del nostro ordinamento che hanno portato ad una scarcerazione minima dei detenuti. Il grosso dei detenuti che sono stati affidati ai domiciliari è dovuto soprattutto al protagonismo di alcune Procure che hanno limitato di ingressi, rallentando l’esecuzione dei mandargli cattura, dall’altro riscoprendo le emergenzialità della custodia cautelare in carcere in favore di una custodia cautelare infra domiciliare. 

Sostanzialmente la risposta del Governo è stata completamente inefficace. Io penso ad una caratteristica dei sistemi penitenziari che si sono trovati a fronteggiare questa emergenza in modo molto rigido. Le istituzioni penitenziarie nella fase esecuzione di pena avevano dei meccanismi disciplinanti all’interno estremamente rigidi, il virus invece lì continuava a stimolare in modo elastico e un corpo elastico che stimola un corpo rigido porta al collasso del corpo rigido, perché si ritrova incapace di fronte alla possibilità di modificare la propria forma in relazione alle sollecitazioni esterne.”

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