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IL BURNOUT UNA SINDROME INDIVIDUALE O COLLETTIVA?

Come mai, il burnout non è solo un fenomeno individuale ma riguarda anche un collettivo?

Come se il burnout non possa essere compreso se non a partire dal suo contesto. 

In effetti, potremmo considerarlo come il risultato soggettivo di un processo patologico di tipo collettivo. 

Una persona in burnout in un’organizzazione indica che quella organizzazione ha in sé processi patologizzanti perché tale sindrome è il risultato dell’interazione tra elementi contestuali e soggettivi. 

Basta tenere presente che è una malattia lavorativa per giungere alla conclusione che il contesto lavorativo in quanto accade deve avere delle dinamiche che non generano solo soddisfazione o fatica. 

Secondo Cherniss (1980) il burnout è un processo costituito da più fasi, in cui si osserva un cambiamento negativo progressivo negli atteggiamenti del comportamento di chi lavora, in risposta a una condizione di stress lavorativo. In Italia, Contessa (1987) utilizza il termine “cortocircuitato”, per indicare l’operatore soggetto a burnout. Sottolinea come il sovraccarico di energie spese può far entrare in cortocircuito la volontà del soggetto di aiutare gli altri come faceva in precedenza. Per Christina Maslach (1981; 1997), che ne sottolinea la specificità per tutte le professioni di aiuto, il burnout è “una sindrome caratterizzata da:

  • esaurimento emotivo
  • depersonalizzazione
  • ridotta realizzazione personale

che riguarda tutti coloro il cui lavoro è fortemente impegnativo da un punto di vista relazionale”. 

Una cosa interessante è che tale fenomeno è stato studiato per lo più nell’ambio delle professioni di cura o “helping professions” come viene indicato in letteratura. 

Possiamo annoverare l’insegnamento e l’educazione in questo ambito? La risposta è si,  perché questa area di lavoro implica una certa cura e un’attenzione alle relazioni che sono la base per favorire i processi di apprendimento nei discenti/alunni/partecipanti. 

Freud nel 1937 in analisi terminabile e interminabile (Freud, 1937) annovera l’educazione nei tre mestieri “impossibili” : governare, curare ed educare.

Noterete che quindi la cura e l’educazione hanno in comune questo impossibile; Freud ne parla circa l’analisi, un percorso lungo e faticoso in cui s’impegnavano le persone che decidevano di intraprenderlo (gli analizzanti). 

Cosa significa impossibile per Freud? Non ha a che vedere con il fare. L’educatore così come lo psicoanalista, fanno proprio questi mestieri. Quindi non è impossibile fare l’educatore, l’insegnante o lo psicoanalista. Cosa significa dunque “mestiere impossibile”?

Il punto è che questi mestieri ti pongono davanti ad un limite. Questo limite è rappresentato dal coinvolgimento nel processo educativo della soggettività dell’educando così come nell’analisi, dell’analizzante. 

Non ci si può sostituire all’altro nelle relazioni di questo genere e dunque si fatica. Non si può trasferire del sapere o far comprendere ad un educando tutto immediatamente senza che sia lui o lei stesso a volerne fare esperienza per poter, infine, apprendere davvero. Gli utenti, i bambini, i ragazzi, gli adulti di cui si cura il processo di apprendimento sono parte attiva e devono esprimere una motivazione a fare, ad esperire, ad apprendere. Spesso questa motivazione non c’è e dunque bisogna lavorare per costruirla in qualche modo: questo favorisce l’instaurarsi di una relazione educativa, la base per un lavoro efficace. Sono lavori che richiedono tempo (oggi risorsa sempre scarsa) e, per la fatica, le frustrazioni e gli ostacoli che comportano, rendono necessario anche uno sguardo verso sé stessi, le proprie dinamiche interiori e un certo ascolto e cura di sé.

Il lavoro in una scuola non si esaurisce certo nel rapporto con gli alunni anche se ne costituisce uno dei punti fondamentali. Ognuno degli altri elementi in gioco ha un peso diverso in base a quello che suscitano in noi, alle dinamiche specifiche, ai dettagli vitali che li costituiscono. Ecco, il burnout va decisamente preso dal versante individuale ma come risultato di un processo che include il collettivo sul quale si deve e si può incidere anzitutto come individui.