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Perle di Youth Work : intervista a Salvi Greco

Quarta perla di Youth Work, questa volta chiacchieriamo con Salvi Greco. Salvi è originario di un paesino in provincia di Lecce che si chiama Martano e lavora da molti anni nel settore dello Youth Work e non solo.

Questa video intervista fa parte del ciclo “Perle di Youth Work” una serie di video interviste, con relative trascrizioni, realizzate nell’ambito del progetto DialogIn Youth Work, Erasmus Plus – KA347 – Youth Dialogue Projects.

Guarda la video intervista integrale:

Perle di Youth Work : intervista a Salvi Greco

Giosef Italy: Cosa fai nell’ambito dello Youth Work?

Sono attivo nel campo dello Youth Work da quando io stesso ero un ragazzino. Insieme ad un gruppo di amici, abbiamo fondato un’associazione nel lontano 90. All’inizio erano attività soprattutto di carattere socio culturale artistico, molto presto però siamo andati più nella dimensione educativa dello Youth work. Una quindicina di anni fa ho intrapreso la strada della formazione diventando un formatore in ambito educativo, facilitatore dei processi di apprendimento, soprattutto in ambito di Youth Work e nell’ambito dell’educazione non formale. Faccio molto anche una cosa che si chiama consulenza, anche se tecnicamente non rientra, diciamo, nel mio biglietto da visita.

Giosef Italy: Cosa sono e come si certificano le competenze nello youth work?

Prima di parlare delle competenze in ambito di Youth Work farei una piccola premessa, più in generale sul concetto di competenze, perché quella delle competenze è una dimensione molto affascinante, ma anche molto complessa, soprattutto nel mondo in cui viviamo oggi.
Un mondo che viaggia a velocità altissime, con le sue iper connessioni, con le interdipendenze che ormai ci sono molto chiare. Questo ci fa vivere in un mondo in cui si ha l’impressione di poter fare quasi tutto, soprattutto perché questo mondo, per quello che viviamo oggi, in realtà è un mondo dove non sappiamo bene cosa succederà fra pochi anni.
E quindi anche il discorso delle competenze diventa più complesso perché vengono continuamente riaggiornate. Spesso leggiamo le competenze che serviranno fra 5 anni, per esempio, e non è facile prefigurare. Quindi ci si chiede se le competenze di adesso saranno sufficienti o saranno del tutto necessarie ancora fra qualche anno.
Tutto questo aggiunge anche molti elementi di incertezza nel proprio sviluppo, come dire, personale.
Un altro aspetto importante per quanto riguarda le competenze prima di entrare nel settore più specifico dello Youth Work è che probabilmente non è mai esistito un concetto unico di competenze. Le competenze sono l’approccio alle differenze, i quadri di riferimento per le competenze sono diversi, da settore a settore, non vengono valutati e certificati, formalizzati allo stesso modo, anzi.
E questo è molto importante da considerare proprio per il nostro settore, quello dello Youth work in ambito europeo, perché certificare in maniera unica e inequivocabile le competenze può essere un grosso rischio. Si rischia di andare incontro a quella che è una standardizzazione delle competenze, cosa che reputo davvero poco utile.
Uno magari in un’ azienda ci entra grazie al proprio titolo di studio, ma tutto quello che avviene poi, una volta entrato in azienda, i vari progressi, gli avanzamenti di carriera, le promozioni e quelle non avvengono più sulla base di titoli, ma vengono su dei processi che vengono svolti all’interno dell’azienda e che permettono ad una persona e di essere promossa di avere un avanzamento di carriera.
Quindi questo lavoro di certificazione, di formalizzazione è importante, ma bisogna capire come avviene, chi lo fa e soprattutto forse deve fare riferimento a quello specifico settore.
Quindi diciamo che bisognerebbe fare molta attenzione ai processi di valutazione e poi eventualmente di formalizzazione, di una data competenza o di aree di competenza.
Almeno nel nostro settore, quello dello Youth work in ambito europeo in particolare, spero poi anche di più anche a livello nazionale, bisogna lavorare sull’identificazione del riconoscimento delle proprie competenze. Tutto ciò non è una cosa funzionale solo diciamo alla propria dimensione lavorativa, professionale, ma è un qualcosa che ci rende più consapevoli di noi stessi e ci da la possibilità probabilmente di navigare meglio quel mondo complesso e affascinante di cui si parlava all’inizio.

Giosef Italy: Qual è il ruolo del self assessment per il riconoscimento delle competenze nello Youth Work?

Intanto partirei col dire di stare attenti a non farsi ingannare da quel piccolo prefisso “self” , perché non si parla di autovalutazione, ma di un processo che è consigliabile, caldamente consigliabile, non fare da soli.
Nel contesto dello Youth Work, che si basa moltissimo sull’ educazione non formale, sul lavoro di gruppo, sullo stare in gruppo, sul condividere con altre persone, è fondamentale farsi supportare nel processo di autovalutazione.
Diciamo che il self assessment è uno step necessario verso quello che chiamiamo riconoscimento e quando parliamo di riconoscimento, soprattutto nel nostro settore pensiamo subito al riconoscimento dal mondo esterno, a volte anche non tanto ben identificato.
Ma quando parliamo di autovalutazione e riconoscimento delle competenze sarebbe importante avviare questo processo di riconoscimento di se stessi e delle e delle proprie competenze.
Detto questo penso che il self assessment e il processo di autovalutazione possano essere considerati un bellissimo viaggio dentro se stessi. Un bellissimo viaggio interiore che ci dà la possibilità di scoprire cose che, fino a quando non ti fermi un attimo a ragionare e riflettere su te stesso, ancora non sapevi.
Per fare questo lavoro di riflessione e autovalutazione bisogna farsi spazio, fare spazio per se stessi e ritagliarsi del tempo per se stessi. So che possono suonare come delle ovvietà, se non delle banalità, ma effettivamente è quello che ci si sente più spesso dalle persone: ma dove trovo il tempo per fermarmi? Perché soprattutto quello di fermarsi per se stessi, magari viene considerato un lusso.
A questo punto, parlando dopo aver parlato dell’importanza del self assessment, del riconoscimento di se stessi con le proprie competenze, uno potrebbe dire, ma come si fa un processo di self assessment ?

Da alcuni anni sono coinvolto nel progetto formativo di training e cooperation, che si chiama YOKOMO, un progetto pilota che è durato quasi due anni dedicato proprio al riconoscimento. Dedicato agli Youth worker che lavorano in ambito internazionale ed è stato elaborato il cosiddetto competence model, con 8 aree di competenza. Tra queste c’è il saper facilitare attività di apprendimento e il saper progettare, disegnare attività di apprendimento, la collaborazione in team, le capacità, le abilità, diciamo a livello interculturale etc.
Ognuna di queste aree di competenza viene sviluppata attraverso quattro elementi che sono quelli che nel nostro settore definiscono la competenza, quindi conoscenza, abilità, attitudini e comportamento.
Queste 8 aree di competenza, scandite attraverso questi quattro elementi, ha tantissime voci che spiegano che cosa si può intendere per conoscenza, per abilità, per attitudine, e comportamenti. Quindi diciamo che questo competence model, con le sue 8 aree di competenze, è una sorta, di guida e in molti casi addirittura può farci capire magari di aver fatto già qualcosa, di avere già deciso tante cose di cui non eravamo consapevoli. E’ veramente una sorta di inventario – non completo ovviamente – di tante cose che fanno parte del nostro lavoro che abbiamo già fatto, che già facciamo, magari egregiamente o in maniera eccellente, ma di cui semplicemente non eravamo consapevoli.
Quindi questo è veramente un ottimo strumento per orientarsi all’interno delle competenze, soprattutto per gli youth workers.
Il feedback, per esempio, è un’altra cosa che può essere utilizzata. Una volta fatto un proprio self assessment, provare ad elaborare un qualcosa che ci possa portare ad avere un feedback da parte di qualcuno. L’importanza di tutto questo quale può essere? Intanto una volta che si è consapevoli. E questa consapevolezza ci permette di essere molto più pronti nel momento in cui dobbiamo rispondere ad una qualche chiamata in ambito professionale e per l’ennesima volta, ripeto, non solo in ambito professionale ma anche nel modo in cui viviamo e nel quale ci relazioniamo.